Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

20 novembre 2013

La chiamata di Matteo

Nella vita la bellezza ti attrae, e la Bellezza con la B maiuscola ancor di più perché la senti corrispondente a te. Nella mia storia personale l'arte e la bellezza estetica hanno un posto in prima fila, ma attraverso le opere degli artisti qualcuno mi ha educato a vedere il Bello a cui rimandano. 
Tra i tanti quadri in cui è raffigurato Gesù quello che amo in modo particolare, direi quasi assoluto è la Chiamata o Vocazione di San Matteo di Caravaggio.
I quadri di Caravaggio li ho ammirati quasi tutti dal vero, e la Chiamata di Matteo mi ha sempre attratto particolarmente perché è come se chiamasse me con quel dito puntato verso Matteo. Adoro poi il bellissimo volto di Gesù, è sicuramente tra le più belle raffigurazioni di Gesù esistenti, e soprattutto, adoro quel sovrapporsi della figura di Pietro a Gesù quasi a indicarne la continuità nel tempo nella Chiesa.

La vocazione di Matteo, Michelangelo Merisi da Caravaggio,
1599-1600, olio su tela, San Luigi dei Francesi, Roma

Ora vi svelo un mio piccolo difetto, mi ci vuole sempre un po' prima di cedere le armi e affidarmi completamente ad una persona, direte che è abbastanza normale, ma se questa persona è il Santo Padre? Forse sono un tantino esagerata non vi pare?

Dei Papi della mia infanzia ho un bellissimo ricordo in particolare Giovanni XXIII, avevo solo 9 anni quando è morto, ma mio padre ci portava spessissimo a Sotto il Monte e ho dei bei ricordi di ciò che il mio papà mi ha raccontato del Papa Buono. Lo vedevo sempre sorridere ai bambini e rivedendo i luoghi della sua infanzia lo sentivo molto vicino a me.

Paolo VI l'ho sempre visto austero e per questo mi era un po' distante, è stato il Papa della mia giovinezza, purtroppo ho iniziato a conoscerlo un po' di più solo negli ultimi anni del suo pontificato, grazie ad un altro "padre" che me lo ha fatto conoscere ed apprezzare: don Luigi Giussani. Di Paolo VI ricordo in particolare ciò che confessò all'amico Guitton. Iniziavano tempi duri e Paolo VI avvertiva che qualcuno operava contro la realtà storica della Chiesa, quasi schiacciandola, ma proprio questa percezione rendeva evidente e rinnovava in lui la forza dell'azione del Signore presente anche in un «piccolo gregge» a Lui fedele: la comunità cristiana, nata per l’energia dello Spirito di Cristo risorto e unita intorno a Pietro e ai successori degli Apostoli. 
«C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede… Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominante un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (J.Guitton, Paolo VI segreto).

Ora non vorrei trasformare questo post in un post di miei ricordi, forse sarà l'effetto dei sessant'anni da poco compiuti, perciò sui due Papi che più amo e ho amato più di tutti, dirò molto poco al momento, anzi pochissimo.
Per la mia storia personale Giovanni Paolo II è stato il Papa che mi ha portato alla consapevolezza dell'esser cristiana, è e sarà sempre il mio Papa, il Papa che amo più di tutti, il Papa che sapeva affascinare noi giovani con le sue parole e con il suo sorriso. Dedicherò a lui altri post.

Benedetto XVI è il Papa che ha cementificato la mia fede, l'ho conosciuto pian piano, passo dopo passo, discorso dopo discorso, lettera enciclica, omelia o quant'altro.  Introducendomi nella sua conoscenza, ho iniziato anche ad amare la sua discrezione, la sua riservatezza il suo amore alla Bellezza, è sì perché in lui tutto rimandava a Gesù. A lui devo lo sguardo in ogni cosa alla vera Bellezza.

Sto scoprendo ora, sempre pian piano come una lumachina, il ciclone umano di Papa Francesco. Mi sbalordisce ogni giorno che passa, non lascia neppure il tempo di sedimentare lo stupore che già fà riaccadere altro.
Mi sono decisa a non aspettare, e per approfondire la sua conoscenza, oggi ho letto finalmente per intero l'intervista che Antonio Spataro gli fece in agosto. Non dico altro di lui, solo che da adesso in poi non potrò non amarlo con la stessa affezione con cui ho amato i suoi predecessori.
Vi riporto qui lo stralcio in cui parla della vocazione di Matteo del Caravaggio, ma vi consiglio caldamente di leggere tutta l'intervista anche se un po' lunga.
La trovate cliccando qui 


Chi è Jorge Mario Bergoglio?

Ho la domanda pronta, ma decido di non seguire lo schema che mi ero prefisso, e gli chiedo un po’ a bruciapelo: «Chi è Jorge Mario Bergoglio?». Il Papa mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli... Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: «non so quale possa essere la definizione più giusta... Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore». Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore. «Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me».
Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi». E aggiunge: «il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
Papa Francesco continua nella sua riflessione e mi dice, facendo un salto di cui sul momento non comprendo il senso: «Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre». Rido e gli dico: «lo abbiamo capito tutti molto bene, Santo Padre!». «Ecco, sì — prosegue il Papa — conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro... ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio». Comincio a intuire cosa il Papa vuole dirmi.
«Quel dito di Gesù così... verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo». E qui il Papa si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Quindi sussurra: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto».

Tratto dall'ntervista di Antonio Spataro a Papa Francesco, 19 agosto 2013